lunedì 3 agosto 2009

Un impegno comune




Non capita spesso di vedere Amministrazioni comunali che, spontaneamente, rinunciando a sterili visioni di campanile, si mettono insieme nel nome di un interesse generale. Da qualche tempo, però, nella Bassa bresciana succede più che nel passato. Nella maggior parte dei casi il motore dell’alleanza è l’impegno per la salvaguardia del territorio.
Una voglia di condivisione che ha più ragioni: l’idea che l’ambiente è un bene comune, che la sua salvezza dipende dalla volontà collettiva, che la pianura non può sopportare tutto in nome della (presunta) crescita economica.
Lo sfruttamento del territorio deve avere un limite, oltre il quale c’è la regressione della nostra civiltà, non il progresso. La crescita non è un totem intoccabile, non coincide per forza con lo sviluppo: se significa migliorare la qualità della vita dei cittadini va bene, se invece pregiudica il futuro (in nome di un incasso facile ed immediato, magari per pochi) è tutt’altra cosa, nasconde un inganno. Attenzione: la speculazione può essere privata, ma anche pubblica. Ogni scelta dovrebbe essere ponderata serenamente, valutando le conseguenze per i nostri figli e nipoti, sapendo che l’ambiente non è un bene indisponibile nelle nostre mani.
I lamenti delle Amministrazioni comunali sull’utilizzo dei territori vanno ascoltati. Tanto più se si levano da comunità generose, che hanno subìto tante angherie e sopportato innumerevoli sacrifici in nome dell’interesse generale. Dalle nostre parti quando i sindaci e i cittadini alzano i toni non è per partito preso, per incomprensione, per egoismo. Sfido chiunque a dire che la Bassa non è stata e non è una terra solidale: cave, discariche, infrastrutture, industrie, rifiuti di ogni genere e da ogni dove… Ma la pazienza, la disponibilità, il senso di responsabilità non possono essere scambiati per remissività o incuria.
C’è un limite, come abbiamo detto. E se le Amministrazioni comunali, interpretando i cittadini, dicono che quel limite è stato raggiunto, c’è da credere loro. Anche perché, a questo punto, si pone un problema di democrazia: che senso ha parlare di federalismo e sussidiarietà se i sindaci e i loro amministrati contano zero?
Rovato, Berlingo, Cazzago San Martino e Travagliato fanno al caso nostro. Il progetto per il parco della Macogna è una cosa seria. Un risarcimento minimo per ciò che questa zona ha dato ed è chiamata ancora a dare al resto della provincia e non solo a quella. Il parco è un’idea che va sostenuta ed attuata, per dimostrare che interessi economici privati (pur legittimi) e bisogni collettivi pubblici (ancora più legittimi) possono dialogare, debbono trovare un punto di equilibrio. Perché, alla fine, si torna alla domanda essenziale: a chi appartiene la sovranità su un territorio? Ai cittadini, non c’è dubbio. Purché sappiano dimostrare – insieme ai loro amministratori eletti – di saperne fare buon uso.
Sarebbe peccato mortale protestare contro chi sfrutta l’ambiente imponendosi dall’alto e nello stesso assecondare quelle stesse nefandezze in nome della comunità. Bisogna che, tutti, ci si fermi a riflettere su dove stiamo andando; serve una presa di coscienza collettiva per verificare se una crescita basata sul cemento e l’asfalto sia la strada giusta: non qui ed ora, ma per il domani.
Auguri di cuore ai quattro Comuni: perché il sogno, come esempio per tutta la pianura, diventi realtà.

Enrico Mirani, giornalista

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